mercoledì 27 ottobre 2010

Thank you, Mr. Gore

E così oggi vado al convegno sulla responsabilità sociale d'impresa, che si apre con un intervento di Al Gore in persona. La vicinanza fisica a persone che normalmente stanno in una scatola digitale, sul giornale o dove succedono le cose quelle vere, lo ammetto, mi impressiona. Parlo dei grandi, non degli avanzi da reality.
Penso a immagini, pensieri e parole che potrei scaricare se potessi connettermi via USB al suo cervello. Le telefonate con Clinton, uno dei miei miti il cui declino coincise con l'inizio delle mie sfighe. Il ritiro del Nobel, la consegna dell'Oscar. I bagni di folla durante la campagna presidenziale, le conversazioni con gente capace di influenzare il futuro di intere generazioni. Il dietro le quinte di cose che la gente comune manco se l'immagina. La Socia, mediamente molto più saggia di me, ridimensiona tutto, preoccupata dal suo stesso cinismo. Per uno che ha una gelateria un guasto elettrico è come il disastro della BP per i suoi dirigenti. Se fai il politico è normale parlare di macroscelte, macrotendenze, macroeconomia. Penso ai nostri politici, ultimamente concentrati sulle microcucine, ma è solo un attimo. Sicuramente l'abitudine si fa a tutto, e se la tua professione prevede che l'ordine del giorno includa voci come riforma sanitaria e delle pensioni dopo un bel discorso sullo Stato dell'Unione, beh, quello è il tuo lavoro.
Il ragionamento non fa un plissé, ma vuoi mettere la complessità e la posta in gioco? Un mio errore mi abbatte, ma nel mondo ha lo stesso impatto del battito d'ali di un fringuello. Se sei un grande sbagli da grande, altro che balle. E non sei il solo a pagare. O magari la fai franca, protetto dalla tua stessa posizione (una tendenza che da noi ha preso piede e oggi va per la maggiore), ma il peso del rimorso? Un rigore sbagliato ai mondiali è capace di segnarti la vita, mentre se giochi a calcetto basta una birra per riprendersi.
E così lo ascolto, pensando all'asimmetria tra lui e noi, che di lui sappiamo un sacco di cose, anche personali. Il divorzio, le massaggiatrici particolari, la propensione per la bottiglia. Le sconfitte, la capacità di reinventarsi, il successo da comeback, Current TV,  la faccia di sua figlia.
Poi viene il momento dei saluti a protagonisti e maestranze, in una saletta riservata, e ci stringe la mano. Stranamente, riesco a formulare una frase sensata, e mi sorride, con la testa già al prossimo impegno, ai prossimi volti anonimi, alle prossime cose che ripeterà automaticamente.
E io, colta da demenza, non vedo l'ora di dire alla mia mamma che ha fatto bene a farmi studiare le lingue.
Mi faccio tenerezza da sola.

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