giovedì 3 novembre 2011

L'Occidente e il bosco

Leggo il post di Calzino che si interroga su sfascio e indifferenza e a mia volta mi chiedo cose. Non serve scomodare Marx per capire che quando finiscono i soldi c'è poco da stare tranquilli. E io, che sono agli sgoccioli, sono in effetti preoccupata. Però non ho paura, la mia è curiosità. Cosa succede varcata la soglia della consapevolezza? L'abbiamo finalmente metabolizzata l'insostenibilità complessiva di esistenze come le nostre, protette, ovattate e intatte da guerre, miserie e paure sociali che riguardano sempre gli altri?
E penso a una lezione che ho imparato in un parco americano, chissà quale, ero troppo impegnata a essere felice per ricordarmene. Avevo appena rischiato il linciaggio a San Francisco per aver parcheggiato accanto a un idrante, e l'atteggiamento dei guardaboschi che osservavano pacificamente gli incendi in corso mi sembrava singolare. Ma è normale, mi dissero, per rigenerarsi il bosco prende fuoco e rinasce sulle sue ceneri, noi studiamo come accade ma senza intervenire. La natura non ha bisogno di noi.
Così è questa parte di mondo che sembrava quella giusta, in fiamme per rinascere. E spero solo di avere abbastanza tempo per vederli crescere e trasformarsi in alberi, questi germogli di buon senso che si fanno strada nella terra bruciata, che altrimenti, persi tra i fusti imponenti della superbia e della follia, continuiamo a calpestarli.

4 commenti:

  1. altrimenti c'è sempre l'opzione che ci abbracciamo tutti stretti stretti e viviamo d'amore. secondo me funziona :)

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  2. probabilmente hai ragione, ma non lo sapremo mai...

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  3. Speriamo di non finirci pure noi in quelle fiamme. Ehm. -.-"

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  4. perchè no? se poi facciamo come l'araba fenice è un'opzione da non sottovalutare.

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