Il debito di tre euro con il panettiere che fa la focaccia genovese più buona del mondo mi perseguita. Lo chiamo per dirgli che non mi sono dimenticata, e già che ci sono ordino una mezza teglia, che non si sa mai. In estate chiudo prima, si ricordi, ma certo. Arrivo trafelata con Wish che mi trotta al fianco e lo vedo subito, che la saracinesca è abbassata. Intuisco un cartello, e col mio solito ottimismo ipotizzo un lutto repentino. Incuriosita mi avvicino, il cartello porta il mio nome e mi dirotta al civico di fronte, in una minimalista bottega di sete e cose orientali, dove il mio carico unto e prezioso riposa tra antiche teiere e un sontuoso kimono.
E questa città diventa un borgo, dove il tuo nome si scrive sui muri e i debiti si pagano ai vicini dei tuoi creditori. E tu sei quella con tanti capelli e il cane bello e grande, e buonasera la stavamo aspettando.
Bellissimo, come ti capisco. Cose che mi aprono il respiro.
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